Il Villaggio Scolastico Artigiano ha una storia veramente particolare ed incredibile, che vale la pena di raccontare, seppur brevemente, perché ha rappresentato la storia, la cultura, il lavoro, l’istruzione, l’artigianato nei cinquant’anni che partono dall’immediato dopoguerra.
La zona, duramente percossa dalla guerra, non difettava davvero di materiale umano da bonificare: ve ne era anzi fin troppo. Si trattava dunque di raccogliere i ragazzi rimasti orfani e privi di guida, dar loro una casa, avviarli a un mestiere, prepararli ad affrontare degnamente la vita.
Per tutti quei giovani, nacque, il VILLAGGIO SCOLASTICO ARTIGIANO DI SIGNA.
Si chiamò Villaggio perché tutto era organizzato come in un piccolo stato democratico, Scolastico perché iniziò la sua vita nel seminterrato delle Scuole Elementari di Signa e per dare una pur minima istruzione a quella massa di bambini sopravvissuti alla guerra, Artigiano perché, oltre alla convivenza democratica, i ragazzi ricevevano una preparazione specifica all’artigianato locale.
Ebbe vita il 13 maggio 1945 per volontà del Maestro Leopoldo FANTOZZI e del Capomastro Alberto CARPITELLI.
Il 5 febbraio 1946 è la data di inaugurazione del Villaggio nei locali delle Scuole Elementari di Signa.
Non vi era, né vi voleva essere, una linea programmatica ben definita.
Nel Villaggio che raccoglieva i licenziati delle scuole elementari, si studiava e si lavorava. I corsi triennali avevano un programma eminentemente pratico: formare dei bravi artigiani, che potevano poi trovare impiego nelle industrie locali. Tutti gli insegnamenti e le attività erano svolte a tal fine. Ogni forma di sapere erudito, retorico, astratto era bandito da questa scuola, in cui le materie teoriche avevano stretta attinenza con le materie pratiche. Di qui la grande importanza tra gli insegnamenti teorici, attribuita allo studio delle leggi artigiane locali, alla tecnica del lavoro, al disegno artigiano.
Nei laboratori annessi al Villaggio i futuri artigiani si esercitavano, sotto la guida di esperti operai, a modellare l’argilla al tornio, a dipingere le ceramiche, a intagliare il legno. I reparti ceramica e falegnameria, già in piena attività, vennero seguiti dal reparto ‘paglia’ (com’è noto la lavorazione della paglia era una delle più importanti industrie signesi); il laboratorio di meccanica ed elettrotecnica in quest’anno era in corso di allestimento. Ogni allievo aveva modo di fare la sua esperienza, di vagliare le proprie inclinazioni e di orientarsi verso le attività per la quale si sentiva più portato.
Ma con quali mezzi è sorto e viveva il villaggio? Esso trovava vita e alimento più che dal denaro, dall’amore disinteressato del popolo signese. Erano le ditte locali che davano il loro contributo, perché vedevano nell’istruzione la continuazione dell’artigianato fiorentino; erano gli operai che, spontaneamente, rinunciavano a una parte della loro paga settimanale in favore della scuola dei loro figli, e che usciti stanchi la sera dal laboratorio o dall’officina, sacrificando volentieri un’ora o due di libertà, per insegnare disinteressatamente il loro mestiere ai cittadini del Villaggio. Incredibile ma vero, in tempi in cui il più gretto egoismo sembrava trionfare nel mondo.
Ma c’è di più. I giovani disoccupati della zona trovavano anch’essi ospitalità nel Villaggio, dove lavoravano fraternamente insieme ai ragazzi per apprendere un lavoro.
Ma nel 1947 i locali, già sede del Villaggio, furono chiusi d’autorità, ed il Villaggio stesso vide la sua seconda luce, la vera luce, in un granaio ampio, non bello, ma decente, ubicato in Viuzzo Bordoli.
Era quello un piccolo mondo di povera gente, un ambiente amato per quella sua umiltà, perché rifugio sereno dove ognuno nell’operosità, nel costante sacrificio d’ogni giorno, aveva la gioia di non sentirsi solo.
Ed i ragazzi impararono ad autogestirsi, a sentire l’intima bellezza di essere utili a sé ed agli altri.
Lo stanzone prese un aspetto diverso, acquistò con il passar del tempo una bellezza particolare, tutti si adoperavano per questo, tutti donavano il loro amore a quella casa straniera.
Il Villaggio acquistò nel travagliato cammino, in questa sua faticosa rinascita una coscienza umana ancor più sensibile, e volse lo sguardo ad orizzonti più vasti, nel dolce sogno di creare una casa, perché tanta gioventù potesse sperare nell’amore.
Questo sogno lungamente accarezzato in segreto, popolato di volti, di cose, arricchito nelle immagini da sentimento, sospinse il Maestro Fantozzi a dare al Villaggio una casa. Tutto iniziò nel 1950.
1° gennaio 1950 – Vengono completate le trattative da parte del Maestro Fantozzi col signor Rindi per l’acquisto del terreno in Via Cattani Cavalcanti con superficie di circa 2400 mq;
5 gennaio 1950 – Viene stipulato il compromesso tra le due parti. Il Maestro Fantozzi effettua la metà del pagamento in lire 375.000; per il restante pagamento viene dato dalla proprietà il tempo sufficiente. Contemporaneamente il signor Giuseppe Corti dona al Villaggio un lotto di terreno confinante con quello già acquistato.
10 gennaio 1950 – Viene Convocata un’assemblea plenaria dove vengono discusse le divisioni delle attività. Ecco i nominativi ed incarichi:
. Silvio MICHELAGNOLI Direttore Tecnico
. Antonio FASCETTI Progettista
. Alberto CARPITELLI Capo Mutatore
. Giuseppe SANTELLI Assistente
. Rolando MARMUGI Assistente
. Lorenzo FEI Assistente
. allievi e genitori e cittadini signesi Addetti ai lavori
La costruzione sarà veramente imponente; avrà una parte frontale di m 52 e due laterali di 25. Avrà una magnifica scalinata, un atrio, giardinetti sul davanti ed un vasto cortile sul dietro ove verranno approntati gli svaghi .
15 gennaio 1950 – Inizio dei lavori. Si fanno le buche per la calce e vi si pone.
Fu allora che tanti bimbi corsero a gettare nuovo seme tra quelle zolle, un seme strano, mai conosciuto da quella terra grassa, un seme che lentamente si sviluppava per generare muri. Il campo perse ogni suo antico aspetto, divenne operoso cantiere, lasciò che si penetrasse nel profondo e si tracciassero lunghi fossati.
22 gennaio 1950 – Settimana dei miracoli. Dal fiume Arno i ragazzi hanno portato il renone. Sono stati iniziati gli scavi per le fondazioni.
I primi tempi, i più duri, i muratori venivano solo alla domenica a prestare la loro opera ed in quel giorno sacro, si vedeva l’ormai brulla collina, piena di sana gioventù che s’improvvisava, per l’occasione, manovalanza scelta.
E così per settimane, per mesi continuò nella indifferenza, nello scetticismo dei più, la costante ascesa.
Giugno 1950 – Piovono a Signa a dare una mano a questi ragazzi una quindicina di persone provenienti dalle più diverse e lontane parti del mondo. Il terreno del costruendo Villaggio diventa un campo internazionale di lavoro dove trascorrono un certo periodo delle loro vacanze, tutta gente venuta a Firenze per la conferenza dell’UNESCO.
Luglio-agosto 1950 – Finalmente lo sterro è compiuto. Si può cominciare a gettare le fondamenta.
Nel piccolo piazzale tra mattoni e pietre furono costruiti i primi travetti, alcune stanze aspettavano di essere coperte e in tutti, grandi e piccini, vi era la stessa commovente attesa.
Ed il primo giorno lungamente accarezzato, pensato con trepido affetto, desiderato con volontà disperata tra sacrifici e dolori giunse.
Era una domenica stupenda, la natura si era vestita a festa con fiori di mille colori, e nel cielo il sole rendeva più dolce e più gradito il mattino.
Si trovarono riuniti nel piccolo piazzale, ragazzi e adulti, pronti tutti quanti a lavorare fin quando i travetti non fossero posti sopra i muri che attendevano.
Non si erano posti la questione del tempo, né tanto meno soppesavano la fatica, quel giorno per loro rappresentava la realizzazione di una parte di quel sogno caro al nostro cuore, era una vittoria reale sull’egoismo.
I travetti mossi a fatica compirono ad uno ad uno il breve viaggio e diedero alla prima stanza l’ombra della copertura. Nel duro lavoro i bimbi al pari dei grandi ansavano per la fatica, sudavano spingendo le corde, guardavano con occhi velati di lacrime quelle mura che a poco a poco si completavano.
Il Villaggio aveva da quel giorno la sua casa. Quella stanza coperta era solo l’inizio non la fine di un sacrificio consapevole; soffio purissimo di libertà, di lealtà e d’amore che si elevava da quella mura incompiute, insegnamento agli increduli, ai pavidi, ai teorici di ogni indirizzo.
Con il passare dei giorni, dei mesi, con lo stesso spirito di quella domenica primaverile, altre stanze furono coperte e rifinite all’interno, pronte ad accogliere quei bimbi un giorno manovali, come studenti piccoli operai.
Nel 1958 il Villaggio viene completato così come lo vedete oggi ed a far da madrine c’è Clelia GARIBALDI e Wanda FERRAGAMO.
La storia è molto sintetica, ed è tratta dal primo giornalino scritto da Stelio FANTOZZI e stampato dagli allievi Tipografi del Villaggio.
Mi preme sottolineare alcuni aspetti, ai più sconosciuti (ma non per gli ex allievi del Villaggio), che fanno dell’ambiente un posto particolare e dimenticato della città di Signa:
1. Al Villaggio vi hanno insegnato eminenti figure signesi quali Giuseppe SANTELLI, CARTEI, Raffaello FOSSI detto ‘Rafo’, e non signesi come Antonio BERTI, Antonio FASCETTI, Ugo MORI, Pietro ANNIGONI e tanti altri. Questi grandi personaggi del mondo della pittura e della scultura hanno lasciato alcune opere presenti all’interno del Sacrario dell’infanzia ed in alcuni spazi interni ed esterni del Villaggio stesso2. Il Maestro Leopoldo FANTOZZI fu insignito:
– nel dicembre 1964 del Premio Nazionale “Stella della Bontà”:
– nel 1966 del “Premio Nazionale al Merito Educativo” e del “Premio Nazionale Marzocco”.
3. In quasi cinquant’anni di scuola 10.000 allievi hanno percorso gli spazi del Villaggio e tutti hanno trovato lavori decorosi; alcuni sono diventati illustri in tutti i settori nei quali il Villaggio svolgeva la sua funzione di insegnamento: dalla ceramica, alla bigiotteria, dalla paglia alla tipografia, dalla meccanica all’elettrotecnica, dalla pelletteria alla scultura.
4. Nel 1961 furono piantati 14 alberi nei giardinetti davanti al Villaggio in onore dei tredici caduti a Kindu e del Maresciallo TONDI (signese) caduto in Tanganica la settimana successiva all’eccidio di Kindu. Tutt’oggi gli alberelli, diventati ormai grandi (da superare la struttura) esistono ed è l’unico monumento ‘vivente’ – esempio in Italia – dedicato ai morti di Kindu.
5. Opere effettuate dagli allievi del Villaggio sono presenti nella città di Longarone e di Magnano (Friuli).