Ben poco sappiamo sull’origine della chiesa dedicata all’Assunta. I resti di mura rinvenuti al di sotto del pavimento della chiesa farebbero pensare a un insediamento di epoca etrusca o romana. Si è ipotizzata l’esistenza di Santa Maria già nel VII secolo, mentre nel 746, secondo l’opinione espressa dal priore Gaetano Giannini nella sua “Storia dei rettori della Chiesa di Castello”, un illustre rappresentante della famiglia dei Contarini di Venezia ricopriva la carica di rettore.
Certo è che nel 978 la contessa Willa, madre di Ugo marchese di Toscana, ne faceva dono alla Badia fiorentina, da lei fondata nello stesso anno e anch’essa intitolata, oltre che a Santo Stefano protomartire, a Santa Maria Assunta. Intorno al patronato sorsero lunghi contrasti, tanto che papa Onorio III nel 1211 “obbligava gli uomini dei Castel di Signa a ricevere il rettore della loro chiesa dall’abate e monaci della Badia fiorentina”.
La distruzione del Castello, avvenuta nel 1326 ad opera delle truppe di Castruccio Castracani, non sappiamo quanti e quali danni arrecasse alla chiesa.
Nel XVIII secolo i documenti la vedono citata come prioria. È soltanto con il 1812, tuttavia, che si registra un altro evento degno di nota: la grande processione con la quale venne portato nella chiesa il corpo di San Placido donato dalle suore di San Piero a Monticelli.
L’esterno si presenta con una semplice superficie muraria in pietra. Il portale d’accesso è incorniciato da una ricca decorazione in stile neorinascimentale realizzata nel 1881. Sulla destra si nota un rilievo in pietra serena dei primi del nostro secolo raffigurante Cristo crocifisso, opera attribuibile a Pietro Santelli. Il campanile, di semplice forma rettangolare in pietra e mattoni, si caratterizza per l’orologio proveniente dalla Villa medicea di Poggio a Caiano che fu qui sistemato nel 1750.
L’interno è ad un’unica navata. L’aspetto attuale è frutto degli ampi lavori di trasformazione fatti eseguire dal priore Gaetano Giannini tra il 1803 e il 1816. Al prelato spettano non solo il rinnovamento della maggior parte degli altari della chiesa, ma anche l’acquisizione di almeno due delle quattro tele che li ornano.
Al primo altare della parete sinistra, Cristo mostra le piaghe a San Bemardo di Chiaravalle, copia settecentesca dell’originale di Jacopo Vignali (1623) conservato nella chiesa dei Santi Simone e Giuda a Firenze. La tela, comprata nel 1789 dal Giannini, veniva sistemata sull’altare nel 1815. Il dipinto, così come si ricava dalle sue memorie, andò a sostituire la tavola con l’immagine di “Maria Vergine Santissima” da identificarsi con la Madonna dell’Umiltà la quale, a partire dal 1816, costituì il principale ornamento dell’altare maggiore.
Sempre secondo il Giannini, il primitivo altare sinistro era stato fatto costruire nel 1450 dal nobile fiorentino Alessandro d’Angiolo Biliotti, che lo aveva dedicato alla Natività di Maria e vi aveva posto l’immagine della Madonna col Bambino.
Segue la memoria funebre di monsignor Giuseppe Fiammetti, fondatore nel 1870 della Congregazione delle Suore Passioniste, eseguita da Giuseppe Santelli con la collaborazione dei fratelli Adamo e Francesco; l’epigrafe celebrativa fu composta da monsignor Pagnini.
Al secondo altare, commissionato da Girolamo Mori Ubaldini a Carlo Ferroni nel 1716, Transito di San Giuseppe. Il Giannini attribuisce il dipinto a Carlo Sacconi e lo dice eseguito nel 1715.
Al terzo altare, anch’esso eseguito da Carlo Ferroni, Apparizione della Vergine a Santa Caterina d’Alessandria, San Gaetano di Thiene e San Carlo Borromeo. Il Giannini fa nuovamente il nome di Carlo Sacconi.
Sulla parete esterna dell’abside ciborio neoquattrocentesco in pietra serena. Al di sopra della porta che conduce agli ambienti della canonica, resti di due scene affrescate da un anonimo maestro della fine del Duecento, al quale spetta anche il Cristo crocifisso tra la Madonna e San Giovanni, attualmente collocato dietro l’altare maggiore.
Originariamente l’affresco si trovava all’inizio della parete destra, entro lo spazio oggi occupato dal primo altare. È presumibile che le due storie sopra ricordate e la Crocifissione facessero parte di un unico complesso decorativo che si dispiegava lungo i muri della chiesa.
L’alta qualità della pittura ha fatto avanzare in passato il nome di Cimabue. Gli studi più recenti, dopo una prima attribuzione al “Maestro della Cappella Velluti”, si sono invece orientati verso un’anonima personalità attiva in ambito fiorentino entro l’ultimo decennio del XIII secolo, già al corrente delle novità espresse da Giotto nel suo Crocifisso di Santa Maria Novella e sviluppatasi parallelamente all’attività del cosiddetto “Ultimo Maestro del Battistero”.
Al di sotto dell’altare maggiore, nella cripta fatta appositamente costruire nel 1987 da don Natalino Rossi, si conserva il corpo di San Placido, probabilmente martirizzato nel 251 sotto l’imperatore Decio. Le spoglie del santo, ritrovate nelle catacombe dì San Callisto a Roma, furono in seguito condotte a Firenze e affidate alle monache di Monticelli, presso le quali sarebbero rimaste fino al 1812, anno del loro trasferimento a Santa Maria in Castello.
Di notevole importanza, ancora nella zona dell’abside, è la piccola Madonna dell’Umiltà, già accostata in passato ai modi di Mariotto di Nardo e poi attribuita alla scuola di Lorenzo Monaco, con una proposta di datazione entro il primo decennio del XV secolo.
A destra, frammento di affresco raffigurante Santa Caterina d’Alessandria, eseguito dal “Maestro di Signa” intorno alla metà del XV secolo. L’immagine, che inizialmente era stata dipinta sopra la superficie della Crocifissione, ne veniva poi separata nel corso dei restauri condotti nel 1975.
Superata la porta che immette in sacrestia, il terzo altare a sinistra ospita una grande tela con l’Adorazione dei Magi di Sigismondo Coccapani. Il pittore ha lasciato la propria sigla e la data, 1617, sopra uno dei gradini dei basamento su cui siede la Madonna.
Il dipinto perveniva alla chiesa di Santa Maria in Castello nel 1810 dal soppresso convento di San Baldassarre a Firenze, grazie al priore Giannini. In quell’occasione veniva eretto l’attuale altare che reca in rilievo l’arme gentilizia del prelato.
Il primo altare, che incorniciava il già ricordato affresco con la Crocifissione, risultava nel 1646 decorato con marmi. Nel 1715, come fa fede l’iscrizione posta sotto la mensa, veniva fatto ulteriormente abbellire da Girolamo Vieri, e contiene oggi un crocifisso moderno.
Il secondo altare, eretto dalla famiglia Fagioli nel 1311, e dedicato alla SS. Tinità, subiva un radicale rifacimento nel 1809 ad opera del Giannini, che vi collocava un dipinto, oggi scomparso, del pittore ottocentesco Giovanni Gagliardi.
Accanto alla chiesa sorge l’edificio settecentesco che ospitava la “Compagnia della Buona Morte” costituitasi nel 1713. L’ampio vano, provvisto di copertura a volta affrescata con l’immagine di San Giuseppe in gloria, veniva edificato tra il 1717 e il 1720 durante la prioria di Michele Maria Pallavicini. L’altare era dedicato a San Giuseppe e a Santa Teresa, entrambi raffigurati sulla tela al di sopra della mensa.
Il Giannini attribuisce l’opera al pittore Santi Pacini e che l’avrebbe eseguita nel 1724. Sulla parete destra lapide commemorativa eseguita da Giuseppe Santelli (1876).