Pro Loco Signa A.P.S.
Carlo Lorenzini (Collodi)

Carlo Lorenzini (Collodi)

Carlo Lorenzini, soprannominato Collodi, per chi non lo sapesse, è quello che ha scritto “PINOCCHIO” il libro più venduto al mondo e tradotto in 212 lingue.

Lo scrittore, profondo conoscitore della storia e del territorio signese, nel suo libro  “Un romanzo in vapore – Da Firenze a Livorno  – Guida storico-umoristica” – Tip.Mariani Firenze – 1856) in un brano scrive così…………………

………………….

Il convoglio si fermò.

— Eccoci a Signa ! — disse l’uomo scoiattolo dagli Occhiali-Verdi: quindi messo il capo fuori dello sportello del Vagone, dette un’occhiata all’intorno, e assumendo una cert’aria ispirata, che si addiceva al suo viso, come i passi del minuetto si addirebbero alla lumaca, cominciò a declamare:

Ecco l’ industre Signa, Onor del tosco regno.

— Son vostri questi versi ? — domandò il solito giovane non fiorentino.

— Miei ? che Dio me ne guardi. D’ una cosa sola posso vantarmi in questo mondo, ed è di non aver fatto mai il più piccolo verso di poesia.

— A chi dunque appartengono i versi che avete declamato?

— Sillaba più, sillaba meno, appartengono al dott. Lastri, erudito insigne del secolo passato, che li messe nel suo poemetto:  Il Cappello di paglia.

— È dunque un paese molto rinomato questa Signa, se il vostro Lastri la chiama  “Onor del Tosco regno”? » ?
— Sicuro, che è rinomato. Vedete voi questo Castello? Non crediate già che sia fatto colla calcina d’oggi: perchè fino dal 977, in uno strumento della contessa Willa, si trova nominato un Castello a Signa. Anticamente fu detto anche Exinea : ma tanto di questo nome , come dell’ altro di Signa gli eruditi che son barbassori che la sanno lunga, non riuscirono a dirci come avvenne che uscissero fuori. Il fatto sta, che oggi il paese si chiama semplicemente Signa, ed è celebre, più che altro , per il lavorio dei suoi cappelli di paglia.

— E ancora questo paese, avrà pur’ esso le sue memorie storiche?

— È dunque un paese molto rinomato questa Signa, se il vostro Lastri la chiama  “Onor del Tosco regno”? » ?
— Sicuro, che è rinomato. Vedete voi questo Castello? Non crediate già che sia fatto colla calcina d’oggi: perchè fino dal 977, in uno strumento della contessa Willa, si trova nominato un Castello a Signa. Anticamente fu detto anche Exinea : ma tanto di questo nome , come dell’ altro di Signa gli eruditi che son barbassori che la sanno lunga, non riuscirono a dirci come avvenne che uscissero fuori. Il fatto sta, che oggi il paese si chiama semplicemente Signa, ed è celebre, più che altro , per il lavorio dei suoi cappelli di paglia.

— E ancora questo paese, avrà pur’ esso le sue memorie storiche?

— Certamente che le ha. Immaginatevi che nel 30 settembre, 1325 il celebre Capitano Castruccio da Lucca, che era venuto con la sua gente nei contado di Firenze, pose in Signa il suo quartier generale. E non ebbe appena spicciate le sue faccende militari, che raccolse le soldatesche sparse nei dintorni, fece ardere il castello, tagliò il ponte sull’ Arno, e per dispetto ai Fiorentini, che tenevano Signa sotto la loro dipendenza, prima di abbandonare quella terra, vi fece battere piccola moneta coll’ impronta dell’ imperatore Ottone e quei denari chiamaronsi Castruccini.  […]

— Da quanto mi dite , si potrebbe concludere che Signa, nei secoli andati, dovesse avere una grande importanza?
— E non poteva essere altrimenti: sia che vogliate por mente che essa si trova alla testata dell’unico Ponte che prima del Secolo XII attraversasse l’Arno tra Firenze e Pisa; sia che vogliate considerare come essa è posta sullo sbocco di due valli, di quella, cioè, del Bisenzio e dell’altra del Valdarno fiorentino. Aggiungete, che alcuni storici ed eruditi vogliono che Signa, anche avanti il mille avesse un piccolo porto o uno scalo per le merci che si recavano dal Porto Pisano a Firenze e viceversa. Il dazio di questi scali rendeva in circa un 300 di fiorini all’ anno.

— Ma dopo tanti secoli e tante vicende, forse dell’antica Signa, al giorno d’oggi, non ci sarà rimasto neppure un mattone?

— Adagio, un poco: dell’antico Castello di Signa restano tuttavia in piedi due porte castellane e gran parte delle mura e delle torri che nel poggio facevano corona e baluardo al paese. Quando nel 1397, le genti di Giovanni Galeazzo Visconti, stanziate in Siena, vollero fare, una scorreria nel contado fiorentino, sotto la scorta del conte Alberigo, si spinsero, mettendo a sacco e a ruba lo stradale che percorrevano, fin sotto le mura di Signa. Giunti costà, batterono gagliardamente e per due giorni consecutivi il Castello: ma fu come battere sul granito. Signa difesa a corpo perduto dal valore dei suoi abitanti e protetta dalla solidità dei baluardi che la cingevano, tenne forte: e i soldati del Visconti con dispetto grandissimo del loro superbo e valoroso capitano, dovettero andarsene colle pive nel sacco, lasciando sul terreno molta gente , fra morti e feriti.

— Ma dopo tanti secoli e tante vicende, forse dell’antica Signa, al giorno d’oggi, non ci sarà rimasto neppure un mattone?

— Ella è questa una bella pagina per il paese di Signa.

— Ma se voi date un’occhiata alle cronache d’Italia, troverete che ogni piccola città, ogni castello, ogni terra, ogni borgata, e sto per dire, ogni casolare può mettere innanzi qualche glorioso fatto d’arme. Perocché lo spirito di parte violentissimo, che ha sempre acceso fin dai secoli più remoti l’animo della gente italiana, e che è stato causa principalissima della nostra gloria e della nostra grandissima sciagura, temprava ogni cittadino a soldato, e raddoppiava i nervi nelle braccia e nei petti il valore. Il partigiano nell’ora della mischia, è sempre un eroe: del soldato, che si batte per la disciplina, non si può dire altrettanto.

— Ma la grande prosperità di questo paese, e per conseguenza l’aumento notevole della popolazione, devesi più che altro, alla celebrità dei suoi cappelli di paglia, che lavoravansi, innanzi che altrove, con mirabile maestria e solerzia dagli abitanti di questa Comunità. Da un’iscrizione, posta sul sepolcro di un Domenico Michelacci di Bologna, nella chiesa di S. Miniato a Signa, rilevasi che “questo industre e benemerito bolognese fu il primo che introdusse e incominciò a commerciare coll’ estero i cappelli di paglia di Signa” (ossia di Firenze, come si chiamavano allora e come si dicono tutt’oggi).

Se la memoria mi serve bene,  l’iscrizione dica presso a poco così:

HIC .JACET

OMJNICUS SEBAST1ANÙS MICHELACCI DE BONONIA

ÓU1 OMNIUM PRIMUS CAUSIAS ANGUS VENDIDIT

NOVOTIUE ISTITUTO COMMERCIO PALEIS

SE, SIGNAM, FINITIMOS DITAVIT

ANNO DOMINI MDCCXXXIX TERTIO NONAS AUGUSTI

PRO VIRO BENE DE HAC TERRA MERITO

DEUM PREGATE

— E i Signesi avranno innalzato un monumento a questo benefattore?

— Ma che monumento  — vi dico che è un modestissimo avello, con sopra l’iscrizione che vi ho citata.

— Ah ! — riprese il giovine quasi ne fosse dolente — se gli Olandesi innalzarono una statua a colui che trovò il modo di salare e di conservare le aringhe, mi pare che i Signesi, con più ragione, avrebbero dovuto scolpire un mausoleo alla memoria di questo Domenico Michelacci.

— Voi dite bene, amico mio; ma la gratitudine del resto, la non s’insegna e la non s’impara. Ognuno la manifesta, a seconda del modo che la sente: v’hanno dei popoli e dei paesi (e Dio vi guardi dal mettere fra questi la Toscana!) che ogni qualvolta si studiano di ringraziare altrui di qualche grosso benefìcio ricevuto, lo fanno in modo così sgraziato, gretto e meschino, che pare invece si atteggino a destar compassione, per ottenere dei novelli favori. Ma non tocchiamo un tasto, il quale alla lunga, riesce monotono e finisce col molestare le orecchie. Rientrando dunque nel seminato, vi dirò che Signa, in proporzione del suolo che occupa, è una delle Comunità più popolate del Granducato. Conta all’incirca sulle 6000 anime. Anni addietro, quando, cioè, la lavorazione di cappelli di paglia, non era così diffusa e conosciuta all’estero (i forestieri finiranno col rubarci anche l’aria!) il paese di Signa fu una piccola California, dove l’oro e l’argento vi colavano da tutti i mercati. Il Castello e i suoi casolari all’intorno vi davano l’immagine di un grande opificio di cappelli di paglia; donne, uomini adulti, e fino i ragazzi di piccolissima età si vedevano assisi sugli usci delle case, e seduti lungo le vie, intenti a preparare la paglia e a lavorare la treccia. Oggi… heu quantum mutatus ab illo ! Prima erano le braccia che mancavano al lavoro: oggi è il lavoro che manca alle braccia ! 

Varie ville sono disseminate nei contorni della Stazione di Signa, come quelle del Conte Alberti, Cattani, Cavalcanti (con vasto parco) Michelozzi, Bicchierai, Bruti.