La navigazione era consentita tramite il navicello, un piccolo veliero toscano a fondo piatto, dotato di uno o due alberi e impiegato per la navigazione fluviale tra Signa e Pisa e dal 1603 con Livorno. Avevano una portata massima di 10 tonnellate. La lunghezza oscillava tra i 9 e gli 11 metri, il pescaggio tra 0,6 e 0,9 metri, la larghezza massima di 2,34 metri. Potevano essere armati con due alberi: il maggiore con vela latina e il minore con la tarchia; l’equipaggio variava da 2 a 6 uomini. Oltre al comandante e all’aiuto erano presenti anche i bardotti ovvero dei marinai il cui compito, nel viaggio verso Firenze, era quello di posizionarsi sugli argini e tirare l’imbarcazione controcorrente utilizzando una fune, detta alzaia. La navigazione, in particolari tratti del fiume, procedeva poi anche con la “stanga”, una pertica in legno affondata nel letto e utilizzata per spingere l’imbarcazione in avanti.
Il navicello era indistintamente utilizzato per trasportare persone e merci fino all’inizio del XX secolo. Il trasporto fluviale con questa imbarcazione fu messo in crisi a partire dalla metà del XIX con l’avvento delle ferrovie e definitivamente abbandonato nel corso del secolo successivo a causa del trasporto su gomma.
L’abitato di Limite ha origini antichissime ma vede il suo sviluppo maggiore dal XV secolo quando la posizione ottimale ne fa uno dei luoghi in cui meglio poteva impiantarsi l’attività dei costruttori di imbarcazioni e del loro utilizzo a fini commerciali, soprattutto per il trasporto di merci e materie prime lungo il tratto navigabile del fiume, cioè quello a valle della Gonfolina fino ai porti del Tirreno. Limite si affacciava su uno degli ampi meandri dell’Arno che proprio per la particolare assenza di correnti tendeva in quel punto ad allargarsi in uno specchio d’acqua ottimale per la costruzione degli scafi in loco. La materia prima, il legno, era fornita dagli abitanti delle comunità poste poco più a monte come ad esempio il castello di Castra e la villa di Conio che avevano accesso alle selve del Montalbano.
Quando Leonardo rappresenta, nelle sue numerose carte, questo tratto dell’Arno rende perfettamente la forma dei meandri generati dal lento corso del fiume dopo la stretta della Gonfolina, fra Limite e la piana empolese (Madrid II, 22v-23r; Windsor Castle RL 12685). I disegni leonardiani dell’Arno limitese, che risalgono ai primi anni del Cinquecento, sono da considerarsi l’ultima immagine di quel particolare andamento del fiume che ha reso possibile la nascita e lo sviluppo di quell’attività che per i secoli successivi ha caratterizzato le frazioni di Limite e Castellina. Solo qualche decennio dopo, infatti, nella seconda metà del secolo, il fiume è stato rettificato attraverso una importante operazione di bonifica che ne ha radicalmente modificato il corso lasciando sul terreno, di fronte a Limite, la traccia del meandro fossile indicato dal toponimo Arnovecchio. Oggi questa zona è una riserva naturalistica che fa parte del Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio Onlus dove si possono osservare flora e fauna tipici delle aree umide palustri.
Nei pressi di Empoli una eccezionale secca dell’Arno del 1981 ha portato alla luce il relitto di un navicello per la navigazione del fiume straordinariamente ben conservato e del tutto simile a quello disegnato da Leonardo in una delle carte del Codice Atlantico (f. 27r). Gli oggetti del relitto, fra cui un boccale di maiolica arcaica, datano il naufragio dell’imbarcazione alla prima metà del Trecento. Il naufragio fu probabilmente causato dall’esondazione dell’Arno del 1333. Il navicello aveva in dotazione anche un’ascia da calafato per la sistemazione della chiglia in loco e una stadera che indica la funzione di trasporto merci dell’imbarcazione. I reperti, con la ricostruzione in scala del relitto di Empoli, sono esposti nella sezione archeologica del Museo Civico di Fucecchio.