Nel 1348 la Toscana, ed in particolar modo tutto il territorio fiorentino, fu colpito da una terribile epidemia di peste. Il contagio si era talmente diffuso che la situazione era ormai divenuta incontrollabile; molte persone morivano per mancanza di alimenti, di medicine e di assistenza non solo materiale ma anche spirituale, non potendo ricevere i Sacramenti della Chiesa.
Fu allora che ventiquattro uomini di Signa presero la decisione di unirsi in società per supplire a tali mancanze in aiuto ai poveri appestati.
Guidati dal loro capo, un certo Ugo, si recarono al Convento delle Selve dell’Ordine dei Frati del Carmine per chiedere consiglio ad uno stimato religioso, Frate Pietruccio. Sentito il parere favorevole, si confessarono, presero la Comunione per mano di Fra’ Pietruccio, eccetto un tal Morozzo che asserì di aver fatto ciò da poco; si dettero la promessa di aiutarsi scambievolmente per quanto possibile nella loro impresa e, vestiti di bianco, l’uniforme con la quale si distinguevano, cominciarono la loro opera di assistenza in tutto il territorio spingendosi perfino a Montelupo ed Empoli.
Nacque così nel 1348, all’epoca della peste, la Compagnia dei Bianchi, dal colore della veste, come Confraternita religiosa composta da laici, allo scopo di aiutare coloro che ne erano colpiti o che a causa della peste morivano e dovevano essere quindi seppelliti, ma con il conforto dato dalla religione, così come nello stesso periodo nacque la Confraternita di Misericordia a Firenze, con gli stessi identici scopi e finalità, ma con una sola differenza: la veste, nera, con la “buffa” nera, per la Misericordia a Firenze, bianca, con la “buffa” bianca, per la Compagnia a Signa, da allora detta “dei Bianchi”.
L’istituzione di Compagnie era molto in uso in quel tempo se si pensa che a Signa, oltre a questa, c’era la Compagnia della Buona Morte che aveva la sua sede in Castello e la Compagnia del Corpus Domini di San Miniato.
Questa tradizione si fa risalire al 1251, quando, come si legge nella “Splendida Storia di Firenze” del Bargellini, per prima fu istituita a Firenze la “Compagnia Maggiore di Santa Maria”, fondata dal domenicano Pietro da Verona, che si prefisse come scopo di assistere i bambini abbandonati e i vecchi.
Dalla Compagnia di Santa Maria ne sorse un’altra, posta anch’essa sotto la protezione della Madonna: la “Compagnia della Vergine Maria della Misericordia” dalla quale discende l’attuale Misericordia.
La tradizione popolare, sostiene il Bargellini, attribuisce la sua fondazione ad un tale Luca Borsi, facchino dell’Arte della Lana, il quale, fra l’altro, avrebbe avuto la curiosa idea di far multare i bestemmiatori che frequentavano la Cantina degli Adimari alfine di raccogliere denari per l’acquisto di “zane” adatte a trasportare i malati e i feriti all’ospedale e i morti al cimitero.
In questo spirito, sorretti da una forte fede cristiana, i ventiquattro uomini di Signa iniziarono la loro opera.
Essi avevano il compito di “soccorrere ed aiutare tutti quanti si ritrovavano bisognosi delle cose spirituali e materiali”.
Si recavano nelle case degli appestati per curarli, assistevano i malati, accompagnavano i morti al cimitero.
La Compagnia dei Bianchi ebbe il suo primo riconoscimento ufficiale in occasione di una grande processione fatta nel 1348 per chiedere l’intercessione della Beata Giovanna affinché facesse cessare la peste.
Si racconta che in quell’occasione il sacerdote dette a baciare a tutti le braccia della Beata, ma quando Morozzo si accostò ad esse fu respinto da una forza invisibile. Tentò per tre volte, ma invano. A quel punto confessò la sua colpa pubblicamente: disse che al Convento delle Selve aveva mentito, che erano ben vent’anni che non si accostava al Sacramento della penitenza, raccontò tutti i suoi peccati e, nello spazio di tre giorni, morì.
Molti seguirono l’esempio di quei generosi uomini e la Compagnia divenne tanto grande da essere una delle più importanti della zona. Essa ebbe la sua prima sede nella Pieve di San Giovanni e poi si trasferì nella chiesa di San Lorenzo.
Cambiò poi nome, diventando la Compagnia del Santissimo Sacramento e dello Spirito Santo.
La sua opera è continuata nei secoli fino ai nostri giorni. Certo oggi le sue funzioni sono un po’ cambiate, ma la sua azione è sempre fondata su opere di carità e sul culto. E molto frequente vedere oggi ad un funerale un “fratello” che accompagna il feretro al cimitero come allora, anche se possiamo affermare che l’attuale funzione più importante della Compagnia è che essa è “depositaria delle tradizioni e promotrice dei festeggiamenti che nel corso dei secoli si sono sempre mantenuti con solenni processioni”.
Essa è infatti l’organizzatrice della festa della Beata Giovanna, insieme al Corteo Storico di Signa. E la più antica associazione che ancora opera nel Comune di Signa.
La Compagnia ha una sua particolare organizzazione ed è fondata su regole ben precise, l’obbedienza, il rispetto e il silenzio in chiesa, il non criticare gli “uffiziali” responsabili dell’organizzazione della Compagnia, che, se non rispettate, prevedono la radiazione dal gruppo, codificate nei Capitoli, una specie di statuto dell’associazione.
Dai “Capitoli” si legge che la loro organizzazione è questa.
La Compagnia è costituita in Seggio, paragonabile al Consiglio Direttivo di una odierna associazione, con Uffiziali Maggiori e Uffiziali Minori. Queste cariche sono assunte solo tramite elezioni alle quali può partecipare chi ha compiuto i ventisei anni.
Gli Uffiziali Maggiori sono: il Provveditore, che raccoglie i soldi, ma non può spenderli di suo arbitrio e che può essere sostituito da due consiglieri che gli danno il cambio; il Governatore, che ha la funzione di mantenere l’ordine nella Compagnia e di vigilare sul suo buon andamento; il Camarlengo, che spende i soldi, ed è un po’ come il Presidente; il Correttore, che è il pievano, ed ha il compito di officiare le Messe, confessare i “fratelli”, assistere alla processione.
Gli Uffiziali Minori sono: i Sacrestani, che sono due e provvedono a tenere in ordine la chiesa, a preparare le elezioni, a suonare le campane, a tenere in ordine la sede della Compagnia; gli Infermieri, che sono due, e visitano i malati e i poveri oppure fanno le faccende a qualcuno; gli Accompagnatori, che sono otto e portano in processione il Crocifisso, la Croce Domini e le lanterne.
Nella Compagnia sono ammessi uomini e donne. Il Venerabile Seggio stabilisce la quota in base alla quale si può rimanere soci ordinari. I Novizi devono fare un anno di tirocinio e, alla festa del Corpus Domini, vengono vestiti dai fratelli maggiori acquisendo il diritto a far parte del seggio.
e vestirono il sacco color bianco
Era una mattina di primavera, quando i fatti che racconteremo si verificarono. Prima di iniziare, vogliamo però ricordare il tempo e le vicende che li determinarono. Un grande della nostra letteratura lo ha già fatto prima di noi, ed è doverosamente con le sue parole che ne iniziamo la narrazione, consapevoli che a molti rinverdiremo i ricordi scolastici.
Si tratta della “Introduzione alla Prima Giornata” del “Decamerone” di Giovanni Boccaccio.
“… Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di mille trecentoquarant’ otto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre ad ogni italica nobilissima, pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazione de’ Corpi Superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali… ” e quindi prosegue: “… non perciò meno d’alcuna cosa risparmiò il circustante contado, nel quale (lasciando star le piccole castella, che simili erano nella loro piccolezza alla città) per le sparte ville e per gli campi i lavoratori miseri e poveri e le loro famiglie, senza alcuna fatica di medico o aiuto di servidore, per le vie e per li loro cólti e per le case dì notte indifferentemente non come uomini, ma quasi come bestie morieno …”
Ecco, riprendiamo ora il racconto di quella mattina dell’anno 1348, mentre nelle città e nelle campagne, imperversava la peste.
Un gruppo di uomini, per l’esattezza ventiquattro, tutti di Signa, uniti dal medesimo intento di recare aiuto e conforto a chi da questo morbo era stato colpito, guidati da un uomo chiamato Uguccio, scesero verso la Costa e traverso il ponte sull’Arno, risalirono al Convento delle Selve, situato sulla collina dirimpetto al Castello di Signa. Qui si incontrarono con Frate Pietruccio dell’Ordine dei Frati Carmelitani, conosciuto per il suo carisma. A lui richiesero la benedizione e la sua guida spirituale. Si confessarono e si comunicarono tutti, eccettuato Morozzo di Tendi da Signa, il quale mentendo disse di essersi confessato.
Costui fu poi punito per la sua falsità, come viene descritto nella “Vita e Opere della Beata Giovanna”, manoscritto del X IV secolo.
Promessa fedeltà all’impegno assunto nell’ambito delle proprie possibilità nello svolgimento di quest’opera di pietà, si incamminarono per la loro missione e vestirono il sacco color bianco.
Andarono per Signa e territorio di Gangalandi, infino al Castello di Montelupo ed Empoli e nei circostanti territori, aiutando tutti quanti ne avevano bisogno sia nel corpo che nello spirito.
Questa storia è la nostra storia. Il ricordo che riusciremo a decifrare, ognuno nel nostro intimo, è in sostanza un ricordo del nostro popolo.