Con l’avvento dell’amministrazione napoleonica in Toscana – 1805/14 – si ha una espansione dell’area commerciale del prodotto in quanto poteva essere esportato in tutto l’impero napoleonico ed in America, esente da dazi e gabelle, retaggi medioevali aboliti da Napoleone. L’impulso dato a questa industria nel periodo napoleonico è stato tale che si protrasse anche nei decenni successivi. Con l’Unità d’Italia tale industria cominciò a declinare, la nuova casa regnante, quella dei Savoia, non erano interessati a differenza delle precedenti amministrazioni sempre pronte ad esporre il cappello di paglia di Firenze alle fiere internazionali, si fa viva la concorrenza emiliana e veneta ma peggio ancora quella di Giava, Cina e Giappone. La crisi del settore, nel 1896 era cosi peggiorata che il lavoro di un intero giorno (10-20 centesimi al giorno per 12-15 ore, ma anche più) non bastava nemmeno per l’acquisto di mezzo chilo di pane, all’orizzonte si intravedeva una miseria economica con pochi precedenti in Toscana.
Il 15 maggio 1896 la trecciaiola Barsene Conti, una donna piccola e minuta di Peretola, in seguito sopranominata la “Baldissera” – dal nome del famoso generale Antonio Baldissera nominato nello stesso 1896 governatore dell’Eritrea – lei, prendendo in braccio il figlioletto, si distese sui binari del tranvai a Brozzi riuscendo a fermare il trasporto verso Firenze dei cappelli di paglia. Le vetture vennero assalite e i cappelli incendiati. Barsene issò una bandiera tricolore e con due compagne percorse le strade incitando le trecciaiole alla rivolta. Lo sciopero e i disordini durarono circa un mese e si allargarono su un vasto territorio che si può delimitare alle località di Prato, Fiesole, Impruneta, Carmignano, Poggio a Caiano. Allo sciopero si unirono le impagliatrici di fiaschi ad Empoli e le tabaccaie di Firenze. È questo il primo sciopero in Toscana di rivendicazione salariale del lavoro femminile.
Fra maggio e giugno del 1896 le scioperanti fecero blocchi stradali, incendiati dei magazzini di cappelli e alcuni barrocci dei fattorini, la forza pubblica fu costretta a intervenire più volte, con esiti alterni.
Lo sciopero delle trecciaiole fu espressione fondamentale della cultura progressista che si faceva spazio lentamente ma inesorabilmente in tutto il comprensorio fiorentino.
Secondo Ernesto Ragionieri (Storia di un Comune Socialista, Sesto Fiorentino) i risultati “nella produzione e nei livelli salariali non sembrano essere stati considerevoli e tali da rimuovere le ragioni del disagio, tanto era forte la crisi che aveva investito il commercio della paglia e così assoluto il monopolio esercitato in questo settore dai maggiori negozianti del paese. Valse però come primo esperimento di organizzazione, associativa e produttiva delle trecciaiole”
I giornali locali furono costretti a fare vari articoli, nel tempo, e cercarono di liquidare questi scioperi come un’agitazione di poche donne, un aspetto quasi folkloristico dei nostri territori. All’estero, invece, ne parlarono molti giornali, in diversi paesi, anche lontani, come l’India e la Cina, con toni tra il serio e il meravigliato.