BONCOMPAGNO DA SIGNA
Nacque a Signa (Firenze) tra il 1165 e il 1175, e forse intorno al 1170 (nell’opera maggiore, il Boncompagnus, a proposito del suo primo scritto, V Tabule salutationum, composto nel 1194-95, fa dire agli avversari: “Triginta annos nondum habes et Habraham vidisti”).
Biografia
Nulla si sa della sua famiglia, e falsa si è dimostrata l’ipotesi del Muratori che egli sia stato il capostipite della nobile famiglia dei Boncompagni, originaria di Bologna. I primi studi Boncompagno li compì a Firenze, ma quasi subito passò a Bologna, dove incominciò ad insegnare giovanissimo, in qualità di “magister”, grammatica e retorica, e dove riuscì ben presto ad affermarsi per l’originalità del magistero e la forte personalità.
Tra il 1194 ed il 1203 egli scrive a Bologna, oltre alle V Tabule, il Tractatus virtutum (1197 c.), le Notule auree, la Palma (1198 c.) che ebbe l’onore di una seconda redazione, l’Oliva (1198 c.), il Cedrus e la Mirra (1201) ed il Breviloquium (1203 c.).
Intanto era stato a Roma, inviato forse da Semifonte, ed aveva ottenuto da Celestino III una lettera contro i consoli e il popolo fiorentino, senza riuscire però ad ottenere la conferma di una prebenda ecclesiastica che gli era stata assegnata; da allora, come dice nella Palma, fece il proposito di vivere da laico, affrontando le inevitabili incertezze della sorte. Tra il 1198 e il 1200 Boncompagno compose anche il Liber de obsidione Ancone, che in edizione riveduta dedicò a Ugolino Gosia, professore di diritto a Bologna, consegnandoglielo solennemente ad Ancona, dove lo aveva accompagnato. Nel 1204 è ancora a Roma, dove compone un trattatello morale, il Liber de amicitia, e l’ultimo opuscolo retorico, l’Ysagoge.
Nel 1206 lo troviamo a Vicenza, dove il 12 febbraio appare come testimone nell’atto di cessione della chiesa di S. Vito da parte dei Rettori degli Scolari ai monaci camaldolesi. Fino al 1215 dovette svolgere la sua attività di insegnante a Bologna, e il 26 marzo 1215 la sua opera maggiore, il Boncompagnus, fu letta e incoronata d’alloro vicino a S. Giovanni in Monte “in loco qui dicitur Paradisus”, davanti al Collegio dei professori di diritto canonico e civile, ad altri insegnanti e ad una gran folla di studenti.
Tra il 1215 e il 1220 soggiornò a Venezia; nel 1222 partecipò forse alla secessione padovana, e qui il 31 marzo 1226 (o 1227) lesse e pubblicò l’edizione riveduta del Boncompagnus, nella cattedrale, alla presenza del legato apostolico Alatrino, del vescovo Giordano, del teologo Ciofredi cancelliere milanese, e di tutti i maestri e gli scolari allora in città. Forse lo stesso anno passò a Reggio, dove numerosi documenti dell’archivio vescovile ne testimoniano la presenza tra il 1229 ed il 1234, come legato alla Curia. A Reggio Boncompagno riprende in mano la sua prima opera, le V Tabule, raddoppiandone le dimensioni, e trattando, oltre la salutatio, il modo di comporre epistole, privilegi, orazioni, testamenti. Nel 1235 ritorna a Bologna, dove pubblica la Rethorica novissima, a cui già pensava prima del 1215 e intorno alla quale aveva lavorato durante il soggiorno veneziano e poi reggiano. Intorno al 1240 compone, dedicandolo al vescovo di Firenze Ardingo, il Libellus de malo senectutis et senii, dolente ed insieme irridente opuscolo sulla vecchiaia. Secondo quanto racconta il cronista Salimbene, Boncompagno ritornò un’altra volta a Roma, seguendo il consiglio degli amici, per vedere se poteva entrare nella Curia romana; fallito il tentativo, ritornò in patria vecchio e infermo e finì i suoi giorni in un ospedale vicino a Firenze. Il Necrologium della chiesa di S. Reparata, conservato all’Opera del Duomo di Firenze, alla data di un 23 ottobre (l’anno è ignoto) porta l’indicazione della morte del “Magister Boncompangnus”: egli morì dunque all’ospedale di S. Giovanni Evangelista, vicino alla chiesa di S. Reparata, dopo il 1240.
Di Boncompagno parlano con riconoscenza due scolari famosi: Rolandino da Padova, che afferma di aver ricevuto da lui il titolo magistrale a Bologna nel 1221, e Boto da Vigevano, maestro anch’egli di dictamen e autore di un Liber floridus, che lo ricorda con parole commosse. Anche Salimbene de Adam nella sua Cronica, composta nel 1283, ne traccia un vivo ritratto: la paginetta è preziosa non solo per il riscontro esatto con certi lati del carattere di Boncompagno, ma anche perché ci ha conservato i pochi versi attribuibili al maestro fiorentino e la notizia della grande burla giocata ai Bolognesi accorsi in folla per vederlo volare.
“Maximus trufator” lo dice Salimbene, e quasi tutti hanno parlato di “fiorentino spirito bizzarro”; ma l’umanità di Boncompagno è ricca, così come varia e molteplice è la sua conoscenza del mondo (fu in Francia, in Germania, in Dalmazia, a Gerusalemme, e viaggiò largamente per l’Italia) e degli uomini. Capace di beffe atroci contro la credulità e la dabbenaggine di scolari e anche colleghi, si mostra estremamente sensibile ai bisogni degli studenti poveri; amico di potenti (della famiglia del conte Guido Guerra, dell’arcivescovo di Aquileia Wolfger, ecc.), è geloso della sua indipendenza, li tratta da pari a pari e addirittura distribuisce patenti di immortalità, e preferisce vivere povero ma libero. Spirito spregiudicato e attento osservatore della realtà, anticipa in qualche modo il modello d’uomo che sarà poi caratteristico dell’umanesimo. “Princeps dictatorum”, si fa banditore di una retorica concreta, legata alla vita, lontana dall’insegnamento tradizionale che aveva i suoi pilastri nella Rhetoricaad Herennium, nel De inventione di Cicerone e in Prisciano. Testi tutti che conosce e qualche volta cita, ma verso i quali ostenta assoluta indipendenza, se non addirittura disprezzo, rivendicando la propria originalità. La sua polemica è però rivolta soprattutto contro gli “Aurelianenses”, proponendo uno stile assai più semplice ed essenziale, il cui modello si può trovare nella Bibbia, nelle opere dei padri della Chiesa e nello stilus Curiae Romanae. In sostanza, per quanto attiene al cursus, egli usa solo il tardus, il velox e il trispondaicus. Boncompagno insomma è per uno stile sostanzialmente immediato e sostanzioso, basato su una sicura preparazione stilistica che gli permette di “dictare in presentia”, è contrario, cioè, non perché non ne sia capace, ad una prosa eccessivamente elaborata e ricca di “proverbia et obscura dictamina” (“cuprum deauratum”, non oro: Bonc., I, 18, 1). È naturale che incontrasse molta ostilità, e che i suoi nemici ricorressero alla calunnia o alla falsificazione (per esempio l’affumicamento delle V Tabule, per farle apparire più antiche); ma il modello proposto da Boncompagno era destinato a riuscire vittorioso, non solo in Italia, ma addirittura in Francia, contro l’insegnamento della scuola di Orléans. Nemico irriducibile gli fu Bene da Firenze, che nel suo Candelabrum, opera di grande importanza per la sapiente sistematica e per la ricostruzione anche della teoria aurelianese, lo definisce “ridiculus Geta”. Il latino di Boncompagno è vivacissimo, perché riflette perfettamente il suo ingegno libero da ogni schema e riccamente inventivo; per sapore e corposità gli può stare vicino solo Salimbene.
Insegnando a Bologna, fu presto attratto dai problemi del diritto, ed argomenti giuridici trattò in alcune operette, ai fini della preparazione alla pratica notarile: nell’Oliva “privilegia et confirmationes”, nel Cedrus “generalia statuta”, nella Mirra “testamenta”, nelle X Tabule “privilegia, testamenta”, ecc. È probabile che abbia ascoltato le lezioni di rappresentanti della scuola giuridica bolognese, come Azone; sta di fatto che egli si dichiara autore del prologo della Summa Codicis dello stesso Azone. Se nella Mirra egli si dichiara non del tutto competente su certe questioni relative alla capacità di testare, le opere maggiori mostrano invece una notevole conoscenza del diritto. La Rethorica novissima fu addirittura scritta per gli studenti in utroque. Boncompagno conosce la dottrina relativa all’universalità del diritto romano, afferma la sua reviviscenza nel nuovo diritto imperiale e, conformemente alla dottrina dei glossatori, sostiene l’inconsistenza del diritto canonico senza il diritto civile. Dopo aver formulato per primo le norme degli statuti, afferma la loro natura di legge particolare derogante al diritto comune e ne riconosce il valore transitorio fermo restando il mantenimento unitario e universale del diritto comune.
Un posto a parte nella varia ed abbondante opera di Boncompagno occupano il Liber de obsidione Ancone, notevolissimo saggio di monografia storico-retorica, in cui l’autore afferma il proprio scrupolo di storico, che si basa su relazioni degne di fede di testimoni o riferisce quel che gli è accaduto di accertare o di udire personalmente, e insieme si fa banditore dell’odio municipale contro i Tedeschi e affermatore orgoglioso della superiorità dell’Italia nei confronti degli altri paesi, come anche le due operette “filosofiche”, il De malosenectutis et senii e, soprattutto, il Liber de amicitia, decisamente anticiceroniane, in cui Boncompagno col suo sguardo acuto, intollerante di tutto ciò che è convenzionale, ci dà un quadro dell’amicizia e della vecchiezza che riposa sull’osservazione attenta della realtà e anticipa in qualche modo il pensiero degli umanisti.
Opere
1) Boncompagnus. È l’opera maggiore, indicata nei manoscritti anche come Candelabrum o Pratum eloquentie o Rethorica antiqua (si adotta la grafia costantemente usata nella tradizione manoscritta). Tutti i manoscritti, tra i quali alcuni del sec. XV, ripetono la edizione definitiva. Nel “Testamentum”, chiaramente scritto dopo la laurea bolognese, e che precede l’opera, Boncompagno nomina il libro suo erede, si scaglia contro i critici invidiosi, accennando ad alcuni dati autobiografici, ed afferma l’originalità dell’opera sua in cui non appare nessuna delle materie trattate negli scritti precedenti. Il Boncompagnus è diviso in sei libri:
– Primus est de forma litterarum scolastice conditionis.
– Secundus formam ecclesie Romane tangit breviter et summotenus quoniam augmento non
indiget plenitudo.
– Tertius formam continet litterarum que summo possunt pontifici destinari.
– Quartus est de litteris imperatorum et regum atque reginarum et de missivis atque responsivis que possunt fieri ab inferioribus ad eos.
– Quintus est de prelatis et subditis et negotiis ecclesiasticis.
– Sextus est de litteris nobilium virorum, et civitatum atque populationum”.
2) Breviloquium. In trentaquattro capitoli “doctrinam exhibet inchoandi”: le prime formule raccolgono gruppi di inizi (ad esempio, viaggi felicemente compiuti e relative congratulazioni, viaggi avversi e risposte di condoglianza, ecc.), ma larga parte è fatta alla variatio e all’uso dei pronomi, preposizioni, avverbi, ecc., nell’inizio delle formulee pistolari.
3) Cedrus. In sei capitoli, preceduti da un prologo in cui si ricorda la duplice vittoria riportata sugli avversari con la pubblicazione della Palma e dell’Oliva, “dat notitiam generalium statutorum”. Composta nel 1201 (vi si ricorda il podestà Guglielmo Rangoni), quest’operetta è importante per la storia del diritto, perché fu scritta prima che i legisti si occupassero degli statuti, e perché, mentre ricorda che ogni città d’Italia già si era data uno statuto, non esistevano ancora quelli di società d’arti, d’armi, di studenti.
4) Libellus demalo senectutis et senii. Dedicato ad Ardingo vescovo di Firenze (1230-1249) verso il 1240, è l’ultimo scritto di Boncompagno. In esso lo scrittore, polemizzando con Cicerone che parlò “de bono senectutis”, parla della vecchiaia e dei suoi mali; unico utile sta nel pentirsi, “per lamenta penitentie abstergere sordes criminum et diluere contagia vitiorum, vel quandoque salutifera minus intellegentibus consilia exhibere”.
5) Liber de amicitia. Composto probabilmente a Roma, circa il 1204, in trentanove capitoli il trattatello “XXVI amicorum genera pura veritate distinguit”. Nel lungo prologo (capp. 1-8) l’anima e il corpo, venuti a contesa intorno all’amicizia, si appellano alla ragione, la quale, dopo che sono stati passati in rassegna i vari tipi di amicizia, finisce per concludere con un gran discorso la controversia del corpo e dell’anima. Questo epilogo è ricco di notizie storiche e di considerazioni filosofiche originali.
6) Liber de obsidione Ancone. È l’unica opera storica di Boncompagno e narra con ricchezza di particolari e grande vivacità di stile l’assedio sostenuto dagli Anconitani contro l’esercito tedesco guidato dal cancelliere Cristiano di Magonza e contro i suoi alleati veneziani, nel 1172, e conclusosi felicemente con l’arrivo di rinforzi guidati da Aldruda contessa di Bertinoro. Composto tra il 1198 ed il 1200, fu poi riveduto dall’autore almeno due volte, la seconda probabilmente ad Ancona nel 1201; la prima redazione è perduta. L’opera è dedicata ad Ugolino Gosia, podestà di Ancona.
7) Mirra. Trattatello in cui B. “docet fieri testamentum”, assumendo l’abito non del giurisperito ma dell’oratore, come avviamento per i “simplices tabelliones”. Composto dopo il Cedrus.
8) Notule auree. Composte in due giorni, su richiesta degli amici, costituiscono un’appendice al Tractatus virtutum: in ventuno capitoletti contengono osservazioni sul modo di cominciare le formule epistolari. Data probabile di composizione 1197.
9) Oliva. È questo il più ampio dei trattati “minori” di B., e tratta dei privilegi e delle conferme, tanto ecclesiastiche quanto laiche. Composto prima della morte di Filippo di Svevia (1208), e probabilmente intorno al 1199, il trattato offre una ricca esemplificazione di testi documentari ed è interessante anche per le numerose notizie che offre sui vari aspetti della vita italiana sullo scorcio del secolo.
10) Palma. In quarantotto capitoli l’autore tratta dell’epistola in generale (“regulas iniciales exhibere probatur”) e delle sue parti, ed in particolare espone la sua dottrina sulla punteggiatura. Nel prologo dice che prima di essere pubblicata la Palma rifiorì più volte, ed ebbe la gloria di una seconda redazione (retractatio), che è quella giunta fino a noi. Composta intorno al 1198, è una delle prime opere di Boncompagno.
11) Rethorica novissima. È il secondo dei due grandi trattati di B., la cui composizione è già preannunciata nel prologo del Boncompagnus (1215); scritto probabilmente nella maggior parte a Venezia, fu pubblicato a Bologna nel 1235. In XIII libri (I, De origine iuris; II, De rethorice partibuset causarum generibus; III, De definitionibus; IV, De naturis etconsuetudinibus oratorum; V, De causarum exordiis; VI, De principiis conventatorum; VII, De rethoricis argumentis; VIII, De memoria; IX, De adornationibus; X, De invectivis; XI, De consiliis; XII, De colloquiis; XIII, De contionibus) l’autore compone “a rhetorical instruction for advocates” (Kristeller). L’opera è importante tanto dal punto di vista strettamente letterario (il libro XI in particolare), quanto da quello giuridico, ed ha avuto un’eco notevole nella pubblicistica successiva..
12) Rota Veneris. In questo breve trattato B. sviluppa gli spunti esistenti in altri dettatori (Bernardo, ad esempio) scrivendo, molto probabilmente dietro l’esempio di Andrea Cappellano, una vera e propria ars amatoria, sia pure in forma epistolare (“lasciviam et amantium gestus demonstrat”). Manca, ovviamente, ogni riferimento cronologico; è l’ultima opera ricordata nel proemio del Boncompagnus, anteriore quindi al 1215.
13) V Tabule salutationum. Prima opera di B., scritta tra il 1194 e il 1195, tratta della salutatio, insegnando in cinque tavole le forme da usare scrivendo al papa, all’imperatore, ai re, agli ecclesiastici ed ai laici. Si tratta di una sistematica della salutatio destinata ad avere molta fortuna.
14) X Tabule. È un ampliamento del trattato delle V Tabule; come è detto nel prologo, alle cinque tavole originarie, in cui è trattata sistematicamente la salutatio, seguono altre cinque tavole in cui si insegna il modo di comporre le epistole, i privilegi, le orazioni retoriche, i testamenti. Nell’unico codice che la conserva l’opera s’interrompe verso la fine della III tabula.
15) Tractatus virtutum. Seconda opera di B., da collocare intorno al 1197, “exponit virtutes et vitia dictionum”.
16) Ysagoge. È forse, tra le minori, l’opera più sistematica di Boncompagno. Scritta a Roma, nell’anno 1204, tratta delle salutationes adatte ad ogni persona dei due sessi, dell’epistola e delle sue parti e infine degli esordi.
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